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Bass Fishing : Una storia di lanci, dettagli e silicone

I Black Bass del Gallo


Dove dorme il Bass


Provate a immaginare uno specchio d’acqua circondato da fitta vegetazione, dove ogni tanto una barca in legno naviga lenta tra canneti e fiori di loto. Il suo proprietario si accende una sigaretta, impugna una lunga canna fissa e, con un gesto secco, lancia la lenza in acqua. Poi tutto torna immobile. Se invece abbassate lo sguardo verso la riva, noterete che è impossibile vedere il fondo: l’acqua è torbida e misteriosa. Chissà se qualcosa sta nuotando proprio lì, sotto i vostri piedi.


Credo che la mia carriera di pescatore a spinning sia cominciata un po’ per caso, tentando di emulare proprio quel tipo lì con la canna. Al tempo – ovviamente – senza sigaretta. Era una giornata d’estate. Per sfuggire al dolce far niente decisi di provare lo spinning “al branzino”, come lo chiamavano i veterani del circolo nautico. “Vedrai che botte”, mi dicevano. Io, ingenuo, pensavo parlassero del sole.

Questa era l’immagine tipica delle valli del Mincio tra gli anni ’80 e ’90


Il mio battesimo col Bass Fishing

Il mio battesimo avvenne proprio sul Lago Superiore di Mantova. A uno sguardo inesperto, può sembrare un incrocio tra una palude e un quadro impressionista: acqua piatta, ninfee che galleggiano come decorazioni zen, carpe che fanno mulinelli qua e là, e una distesa di fiori di loto degna di un paesaggio asiatico. Ma allenando l’occhio si scopre che è un habitat perfetto per il nostro amico verde: il Black Bass.


Il mio battesimo avvenne proprio sul Lago Superiore di Mantova. A uno sguardo inesperto, può sembrare un incrocio tra una palude e un quadro impressionista: acqua piatta, ninfee che galleggiano come decorazioni zen, carpe che fanno mulinelli qua e là, e una distesa di fiori di loto degna di un paesaggio asiatico. Ma allenando l’occhio si scopre che è un habitat perfetto per il nostro amico verde: il Black Bass.





Appena arrivato, due cose mi colpiscono: il silenzio irreale e le zanzare in assetto da guerra. Un silenzio interrotto solo dal mio goffo tentativo di montare una canna nuova, ancora con l’etichetta. Una 7' medium-fast, mulinello 2500, trecciato da 20 lb e finale in fluorocarbon. Mi sentivo un eroe greco con la spada magica. Peccato che il primo nodo sembrasse un origami.


Scelsi la mia prima esca con la stessa competenza con cui sceglierei un vino in un’enoteca giapponese: totalmente a caso. Optai per un crank minuscolo, difficilissimo da lanciare, di un colore così acceso da sembrare progettato per le segnalazioni stradali. L’avevo presa più per estetica che per altro. Ma qualcosa mi diceva che quell’esca aveva carattere. 


"Un Bass, un tic, e l'inizio di tutto​"

Mi trovavo in una piccola baia, riparata e ombreggiata. Rami affioranti, acqua bassa. “Condizioni ideali”, mi dissi, come se sapessi cosa stessi facendo. La verità è che temevo più di perdere l’esca che di prendere un pesce. Immaginavo le mangiate come pugni nello stomaco. Invece: silenzio. L’acqua taceva, il Bass dormiva, e io iniziavo a pensare di aver sbagliato hobby.


Poi successe. Dopo mezz’ora di lanci inutili, con un recupero lento, quasi rassegnato, sentii un tic. Una vibrazione sottile: non un’alga, non un legno, non paranoia. Ferro. La canna si piegò. Non tantissimo, ma abbastanza da farmi gridare (dentro): “È lui!”



Un combattimento breve ma intenso. Un piccolo Bass, 25 cm scarsi, ma per me era un drago. Lo guardai negli occhi, lui guardò nei miei. Probabilmente pensò: “Questo non sa cosa sta facendo.” E aveva ragione.



Rituali, nodi e sussurri  


Col tempo, sviluppai piccole abitudini: controllo l’acqua prima di lanciare, ascolto il vento, annuso l’aria (sì, lo faccio davvero). E ho un rito: prima di iniziare, tocco l’esca col pollice, come per caricarla d’energia. Respiro a fondo, quasi in modo zen, e sussurro: “Iniziamo.” Un po’ scaramanzia, un po’ follia.

"Quella cattura mi insegnò più di cento video tutorial. Capìi che il lancio va fatto come un sussurro, non come un urlo. Che il recupero è un dialogo, non un monologo. E che l’esca giusta non è quella che luccica di più, ma quella che sa raccontare una storia al pesce."



Negli anni questa passione è esplosa. Ho iniziato a sperimentare, testare, e soprattutto a farmi fumare il cervello da ogni elucubrazione possibile. Ricordo una giornata d’autunno, acqua fredda, bassa pressione. Tutti a zero. Io monto un piccolo verme artigianale, uno di quelli prodotti da pescatori per pescatori. Dopo due ore di nulla: botta secca sotto i piedi. Pensavo fosse una carpa. Invece no. Bass da oltre 2 kg, con la schiena larga e lo sguardo da bullo. Scatto una foto con la macchina a rullino (sì, sono vecchio), rilascio, mani che tremano.


Quando l’esca ha un’anima


Quel giorno capii che la pesca, come la vita, è questione di dettagli e pazienza. Le esche artigianali hanno un potere sottile: trasmettono un’anima. Non sono perfette, e proprio per questo sono credibili. Quando ho avuto l’occasione, ho iniziato a collaborare con i ragazzi di Cycle Baits. Le loro gomme artigianali non sono solo silicone: sono il frutto di mani che conoscono l’acqua, che capiscono il movimento delle prede, che sanno che il Bass è un animale furbo, vanitoso e tremendamente intrigante.




Quando l’esca ha un’anima


Quel giorno capii che la pesca, come la vita, è questione di dettagli e pazienza. Le esche artigianali hanno un potere sottile: trasmettono un’anima. Non sono perfette, e proprio per questo sono credibili. Quando ho avuto l’occasione, ho iniziato a collaborare con i ragazzi di Cycle Baits. Le loro gomme artigianali non sono solo silicone: sono il frutto di mani che conoscono l’acqua, che capiscono il movimento delle prede, che sanno che il Bass è un animale furbo, vanitoso e tremendamente intrigante.

Cycle Baits: il silicone che rinasce

Oggi, con migliaia di ore di pesca alle spalle, ho un approccio molto più ragionato: studio le condizioni meteo, analizzo la conformazione dello spot, cerco info dai locals. Ho capito che ogni esca, ogni setup, ha bisogno di una strategia specifica.


Nel mio zaino porto sempre i miei must-have i "salvacappotto", per dirla coi più scaramantici. Tra questi, i miei preferiti della gamma Cycle Baits restano lo Chef Craw, un gambero polivalente perfetto per il Texas rig in cover (molto piombato e flippato nello sporco, ma ottimo anche come trailer per jig voluminosi).



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e il Twitcher Shad, uno shad compatto ideale per presentazioni finesse, drop shot, strolling o spiombato a vista. Il suo movimento in caduta è semplicemente assurdo.


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Cycle Baits, inoltre, ridà vita ai chili di gomma che altrimenti butteremmo, creando colorazioni uniche, naturali, perfette per i nostri ambienti. Sono ragazzi giovani, appassionati e consapevoli: alla base dei loro prodotti c’è un concetto fondamentale, quello del riciclo.


Fanno il lavoro per cui sono nate: imitare, sedurre, restare vive tra le mani. Ed è questo, credo, il bello della pesca con esche artigianali: ti ricordano che la vera forza non sta nell’apparire, ma nel saper come muoversi.

"Perché ho scelto proprio queste esche? Perché non cercano di venderti un’illusione."





Trote in microtorrente
Tra natura e vita